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VIDEOSORVEGLIANZA: TELECAMERE E LAVORATORI SOTTO OSSERVAZIONE NON SOLO FORMALE
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PRIVACY 2025– NR 2
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Anche gli spazi esterni di uno stabilimento industriale possono rientrare nella definizione di luogo di lavoro. Ma in caso di videosorveglianza attiva non è sempre necessario il nulla osta dell’Ispettorato sul lavoro. Lo ha stabilito il TAR Toscana, Sez. II, con la sentenza n. 573 del 31 marzo 2025, annullando il diniego opposto dall’Ispettorato del Lavoro a una società che intendeva installare nove ulteriori telecamere in una zona periferica dell’impianto, per finalità di sicurezza ambientale e tutela del patrimonio.
La richiesta, avanzata ai sensi dell’art. 4 L. n. 300/1970, seguiva il mancato accordo con le rappresentanze sindacali. Il rigetto dell’Ispettorato si fondava sull’inquadramento delle aree in questione come luoghi di lavoro e sull’asserita sproporzione della misura, ritenuta non idonea rispetto ai rischi indicati.
Secondo il TAR, tuttavia, le motivazioni addotte risultano generiche e prive di una concreta valutazione del contesto. Come riportato nella decisione il titolare “ha evidenziato di aver da tempo installato un apposito sistema di videosorveglianza limitato al perimetro del compendio immobiliare e finalizzato alla tutela del patrimonio, in forza di apposito accordo sindacale stipulato in data 12 maggio 2022. La ricorrente espone ancora che si palesava l’esigenza di installare ulteriori 9 telecamere, da posizionare in una zona periferica dell’impianto industriale, per monitorare il corretto smaltimento dei rifiuti presso le apposite aree di scarico così da prevenire rischi per la sicurezza dei lavoratori, di incendi e di danni ambientali, oltre che per la tutela del patrimonio aziendale. Tuttavia l’apposita procedura, prevista dall’art. 4 L. n. 300/1970 per addivenire ad un accordo sindacale che consentisse di integrare il precedente sistema di sorveglianza, non andava a buon fine, come risulta dal verbale di mancato accordo del 29 maggio 2023, dal quale emerge che le rappresentanze sindacali avevano ritenuto sproporzionato lo strumento proposto. Quindi, sempre ai sensi dell’art. 4 L. n. 300/1970, veniva presentata apposita istanza all’Ispettorato del Lavoro”.
Il Collegio richiama l’orientamento secondo cui è ammissibile la presenza di impianti in spazi aperti, dove il lavoratore non è direttamente sorvegliato, ma solo “investito del raggio d’azione delle telecamere mentre svolge operazioni di carico inerenti alle sue mansioni”, e ribadisce che la tutela del patrimonio aziendale va intesa in senso estensivo.
Chiude la sentenza: “tale vizio motivazionale inficia alla base l’intero diniego, non risultando conseguentemente ponderate dalla P.A. le rappresentate esigenze aziendali, che vanno dal fine di assicurare maggiore sicurezza, anche ambientale, a quello di preservare l’integrità e il decoro del patrimonio aziendale, del quale va data, ai fini dell’applicazione del cit. art. 4, una definizione ampia (v. Cass. Civ. n. 23985/2024 cit.)”.
Ulteriore conseguenza del suddetto errore di fondo è che la P.A. non ha considerato che la riservatezza del dipendente è minore negli spazi di lavoro dove vi sono sovrapposizioni con soggetti esterni all’organigramma aziendale (v. Cass. Civ. n. 3045/2025 cit.) e ha altresì obliterato il più ridotto arco temporale (di 72 ore) di archiviazione dei dati registrabili dalle 9 nuove telecamere, a fronte del più lungo tempo (di 96 ore, come riportato a pagg. 9 e 10 memoria erariale del 13 febbraio 2025) di archiviazione delle registrazioni dell’impianto già esistente e autorizzato.
Fonte: Federprivacy