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GPS SU AUTO AZIENDALE: si può controllare per licenziare?

A cura dell’Ufficio Stampa
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GPS SU AUTO AZIENDALE: si può controllare per licenziare?

Per la Corte Europea l’utilizzo del Gps per verificare i chilometri percorsi dal dipendente non viola la Convenzione dei diritti dell’uomo.
Utilizzi l’auto o il furgone aziendale per lavoro? Stai attento ai tuoi movimenti, perché il Gps installato sul veicolo potrebbe essere utilizzato come prova schiacciante per licenziarti nel caso in cui i tuoi spostamenti non fossero quelli dichiarati.
A confermare la correttezza dell’utilizzo del Gps per «controllare» il dipendente è la Corte Europea che in una recente sentenza ha confermato la sua conformità alla Convenzione dei diritti dell’uomo. Nella sentenza, la Corte di Strasburgo ha fissato i criteri per assicurare il corretto bilanciamento tra i diritti del lavoratore e quelli del datore di lavoro di poter utilizzare i dati raccolti attraverso il controllo del sistema di geolocalizzazione durante il processo intentato dal dipendente contro il licenziamento.
Nel caso concreto, il dipendente si era rivolto alla Corte Europea sostenendo che il comportamento tenuto dall’azienda – che aveva installato un Gps sull’auto aziendale a lui fornita e, tramite questo, aveva scoperto che il professionista non aveva completato le otto ore di lavoro manipolando anche il dispositivo affinché non rivelasse il suo segreto – fosse stato illecito. L’accusa era quella che l’azienda, controllando gli spostamenti del dipendente, avesse violato l’art. 8 della Convenzione, il quale dispone che «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza».
Grazie al Gps, il datore di lavoro aveva scoperto il comportamento scorretto del dipendente avviando nei suoi confronti un procedimento disciplinare e disponendone il successivo licenziamento. Il ricorrente si era rivolto ai giudici europei chiedendo il riconoscimento del Gps, utilizzato per controllare i movimenti del lavoratore, come uno degli strumenti di sorveglianza dei lavoratori vietati dalle vigenti norme in tema di diritto del lavoro. Un riconoscimento che la Corte Europea, evidenziando come il ricorrente fosse stato fin da subito informato dell’installazione del Gps sul veicolo fornito dall’azienda: informazione necessaria per non violare il rispetto della vita privata del dipendente.
Inoltre, l’azienda aveva immediatamente chiarito che l’installazione del sistema di geolocalizzazione aveva lo scopo di controllare i chilometri percorsi per disporre le relative spese aziendali, spiegando fin da subito che sarebbe stato attivato un procedimento disciplinare nel caso in cui fossero state riscontrate anomalie tra gli spostamenti per lavoro dichiarati dal dipendente e quelli effettivamente rilevati.
Essendo stati rilevati solo i dati di geolocalizzazione relativi ai chilometri percorsi dal dipendente, la denunciata ingerenza nella vita privata del ricorrente era limitata esclusivamente al perseguimento dell’annunciato scopo di determinare le spese aziendali e il risarcimento per il dipendente stesso di quelle sostenuto.
Ciò premesso, per i giudici di Strasburgo non vi è stata alcuna violazione dell’art. 8 della Convenzione, essendosi realizzato il corretto bilanciamento tra il diritto alla vita privata nel contesto familiare del dipendente, e quello dell’azienda di far rispettare le regole pattuite. Infine, la Corte riconosce anche il corretto utilizzo dei dati rilevati tramite il Gps in sede giudiziaria, utili per spiegare i motivi del licenziamento, e non tali da concretizzare una violazione del diritto all’equo processo.

Fonte: Laleggepertutti.it