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Corte Strasburgo: sì a telecamere nascoste sul lavoro, ma solo in caso di fondato sospetto di furto e perdite ingenti

A cura dell’Ufficio Stampa
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Un datore di lavoro può installare delle telecamere nascoste per la videosorveglianza senza avvertire i propri dipendenti qualora abbia il fondato sospetto che questi lo stiano derubando e se le perdite subite per la loro condotta sono ingenti. È quanto ha deliberato – ribaltando il giudizio di primo grado del 2018 – la Grand Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui il comportamento del proprietario di un supermercato spagnolo può essere considerato legittimo e non vìola il diritto alla privacy di alcuni addetti alle casse, licenziati dopo essere stati filmati mentre rubavano prodotti sul luogo di lavoro o aiutavano altri a farlo.

Il caso all’origine della pronuncia della Cedu (sentenza del 17 ottobre 2019) sui ricorsi 1874/13 e 8567/13) risale al 2009, quando il direttore di un supermercato spagnolo in provincia di Barcellona, rilevando irregolarità tra stock di magazzino e vendite e una rilevante perdita negli incassi nell’arco di cinque mesi (circa 82mila euro) decise di far installare alcune telecamere a circuito chiuso, sia visibili (alle uscite) che nascoste (puntate sulle casse). Le videoriprese evidenziarono una serie di furti di merci da parte del personale che portarono a 14 lettere di licenziamento per motivi disciplinari tra cassieri o addetti alle vendite.

Nonostante i licenziamenti siano stati considerati legittimi dai tribunali nazionali, cinque dei dipendenti allontanati decisero di ricorrere alla Corte di Strasburgo. In base al diritto spagnolo, infatti, i cassieri avrebbero dovuto essere informati prevenivamente della sorveglianza. Nel ricorso, si chiedeva quindi di censurare le conclusioni della giustizia spagnola riconoscendo in particolare una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sul diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Per i giudici della Corte europea, i colleghi spagnoli chiamati a decidere la legittimità dei licenziamenti hanno «attentamente bilanciato» i diritti dei dipendenti sospettati di furto e quelli del datore di lavoro, effettuando un esame approfondito delle ragioni della videosorveglianza. E la mancata notifica preventiva del sorveglianza, nonostante sia prevista dalle norme interne iberiche, è da ritenersi giustificata dal «ragionevole sospetto» di una grave colpa dei cassieri e dall’entità della perdita economica subita dal supermercato a causa dei furti.

Nel ritenere il monitoraggio «proporzionato e legittimo» e l’intrusione nella privacy dei ricorrenti non eccessivamente grave i giudici spagnoli non hanno quindi superato il loro potere discrezionale (“margine di apprezzamento”) anche per la sua breve durata (10 giorni) e il numero limitato delle persone messe a conoscenza dei video. Decisiva anche la scarsa estensione dell’area sorvegliata, limitata alla zona casse. Per la Cedu, il livello di privacy che un dipendente può legittimamente attendersi dipende infatti anche dalla posizione: molto elevato in luoghi privati (servizi igienici o guardaroba), dove vi è un divieto assoluto di videosorveglianza; elevato in spazi di lavoro ristretti (uffici), dove può essere giustificato; inferiore, negli spazi di lavoro visibili o accessibili ai colleghi o al pubblico in generale.

La linea della Cedu è condivisa dal Garante italiano della Privacy, che in una nota sottolinea come la sentenza «da una parte giustifica, nel caso di specie, le telecamere nascoste, dall’altra conferma però il principio di proporzionalità come requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo». Per il via libera alla videosorveglianza “segreta” la Corte di Strasburgo ha infatti accertato una serie di presupposti, come i «fondati e ragionevoli sospetti» sui furti commessi dai lavoratori, il danno ingente subito dal datore di lavoro.

La videosorveglianza «occulta», commenta il Garante, «è dunque, ammessa solo in quanto extrema ratio», «con modalità spazio-temporali tali da limitare al massimo l’incidenza del controllo sul lavoratore», e non può in nessun caso «diventare una prassi ordinaria». Il «requisito essenziale» perché i controlli sul lavoro siano legittimi, conclude il Garante, «resta dunque, per la Corte, la loro rigorosa proporzionalità e non eccedenza», che si confermano ancora una volta i capisaldi della protezione dei dati personali.

Fonte: Il Sole 24 Ore

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Credits: Federico Lodesani

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