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Il lavoratore può essere controllato da remoto, ma deve essere informato

A cura dell’Ufficio Stampa
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La nuova disciplina dei controlli sul lavoro ha segnato una svolta nell’approccio a questa controversa problematica. Da un lato, ha ridimensionato il ruolo delle autorizzazioni sindacali o amministrative, esentando le imprese dal richiederle per installare gli strumenti strettamente finalizzati al lavoro. Dall’altro, ha osato prevedere che le informazioni acquisite tramite strumenti autorizzati o esentati sono utilizzabili anche a fini disciplinari, purché siano state acquisite (visto che comportano un trattamento di dati personali) nel rispetto della normativa privacy.

L’intenzione era quella di sollevare le imprese da alcuni oneri autorizzatori e dare loro maggiori certezze sulla fattibilità dei controlli, in cambio dell’osservanza delle regole privacy. A detta di alcuni, il ruolo della disciplina della privacy, di recente rinnovata dal GDPR e dal decreto attuativo, non sarebbe cambiato alla luce della riforma dei controlli: come valeva prima, la privacy vale adesso.
Il fatto che il nuovo art. 4 abbia posto il rispetto di quella disciplina come condizione dell’utilizzazione probatoria delle informazioni acquisite per tale via rappresenta una novità di rilievo, sia perché rafforza l’effettività di quelle norme, sia perché conduce, o dovrebbe condurre, a interpretarle in un certo modo. Sarebbe paradossale, infatti, se da condizione per poter utilizzare i dati raccolti la privacy si trasformasse in un impedimento di fatto alla possibilità di raccoglierli.
Vero è che i controlli informatici (che sono ormai il cuore del problema) debbono poter essere effettuati in alcune circostanze e a certe condizioni.
In sostanza il lavoratore può essere controllato anche da remoto purché ne sia preventivamente informato e i controlli non siano eccessivamente invasivi e in generale sproporzionati (e il punto è stabilire, anche per principi, quando lo sono).
Ma proprio da questa sintesi, che prova a sospingere la ragione oltre l’ostacolo, si evince che c’è un ultimo miglio che la stessa riforma ha percorso soltanto a metà: nell’era della tracciabilità totale difendere il fronte del divieto di controllo a distanza sui lavoratori è tanto impossibile quanto inopportuno (essendo sacrosanto che chi passa ore del proprio tempo lavorativo su Facebook possa essere licenziato: ma per farlo bisogna saperlo), per cui sarebbe il caso di abbandonare le guerre di religione sull’argomento e confrontarci di più sul “come” dei controlli, in vista di un bilanciamento pragmatico tra i valori in gioco.

Fonte: Sole 24 Ore

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Credits: Federico Lodesani

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