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Confartigianato: “Economia del territorio indebolita dalla denatalità”

A cura dell’Ufficio Stampa
uff.stampa@confartigianatofc.it

La demografia è un problema prima di tutto economico, anche per il nostro territorio che ha appena registrato a Cesena il record negativo delle nascite dagli anni Novanta a questa parte: appena 569 nel 2022. Lo rimarca Confartigianato cesenate. Una territorio, quello cesenate, che in linea con il trend italiano, europeo e dell’Occidente del mondo, vede l’incremento dei sessantacinquenni e un progressivo, inarrestabile invecchiamento della popolazione. 

“Un concetto, quello del saldo demografico – mette in luce il Gruppo di Presidenza Confartigianato Cesena (Daniela Pedduzza, marcello Grassi e Stefano Ruffilli)  – che interroga non solo i demografi ma anche gli economisti. D’altra parte, se già il nostro sistema economico sconta alcuni gap di competitività rispetto ad altri europei ed extraeuropei, quello della demografia rischia di essere un ulteriore fattore di squilibrio negativo. Ma il problema è molto più profondo e non riguarda solo il mondo delle imprese, ma  attiene alla tenuta strutturale del nostro Paese sempre più vecchio e fragile. Se ne è occupato Alessandro Rosina, autore del ‘quaderno’ tematico della Fondazione Germozzi, istituto culturale che opera in seno a Confartigianato, dal titolo ‘La crisi demografica italiana: giovani e qualità del lavoro – Idee, spunti, dati e scenari per affrontare gli squilibri che rischiano di compromettere lo sviluppo economico e la sostenibilità sociale del Paese’, che fornisce una proiezione, a tratti, piuttosto allarmante del problema demografico in Italia”.
“In questi anni – prosegue il Gruppo di Presidenza di Confartigianato Cesena -è innegabile che si sia assistito a una rimozione collettiva del problema e che le politiche messe in campo per fronteggiare la questione demografica si sono rivelate del tutto inefficaci. La bassa consapevolezza delle conseguenze della denatalità, la marginalità delle politiche per i giovani e le donne, ha portato gli squilibri demografici a diventare sempre più gravi generando un senso di impotenza verso un destino ritenuto ineluttabile. Ci si è permessi di sottovalutare l’emergenza della denatalità anche perché il centro della vita attiva è stato, fino a qualche anno fa, presidiato da generazioni molto consistenti. In particolare i nati attorno a metà anni Sessanta (all’apice del baby boom) avevano 35 anni nel 2000, 45 nel 2010 e 55 nel 2020. Ma gli effetti della denatalità sull’economia e sulla sostenibilità del sistema di welfare cominciano a prodursi ora con l’entrata nelle età lavorative dei nati dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi, quasi dimezzati rispetto alla generazione dei propri genitori. Non è più solo questione di conti pubblici, ma anche di squilibri che investono il mercato del lavoro e vengono avvertiti dalle imprese, anche del nostro territorio investito dal lungo inverno demografico”.